Presupposti teorici. Gli studi della Scuola di Chicago sull’artista di strada
Nella seconda metà del XIX secolo e nei primi del XX, il panorama sociale che lo straniero americano ha di fronte è un panorama fortemente scosso dallo sviluppo urbano-industriale. L’intensa attività edilizia trasforma il volto della città americana favorendo una massiccia direzione delle aree suburbane.
L’esempio classico di tale trasformazione è proprio la città di Chicago, che subì un cambiamento radicale non solo nella composizione numerica ma anche dal punto di vista di relazioni sociali e degli stili di vita innescando così nuove problematiche analizzate dal Dipartimento di Sociologia dell’Università di Chicago.
Chicago negli anni venti e trenta diventa così il laboratorio di ricerca ideale per chi si occupa dei fenomeni di patologia urbana.
Alcune ricerche prodotte a Chicago costituiscono delle valide etnografie perché fanno uso di metodologie varie: inchieste e osservazione in loco, interviste formali e storie di vita.
La disoccupazione, la mancanza di alloggio e la devianza caratterizzano la vita di questi giganteschi agglomerati di folle inquiete ed in continuo movimento.
Il sociologo Park fu uno dei primi ad operare un’analisi della vita sociale in una grande metropoli. Per Park la metropoli americana rappresentava il punto più alto dello sviluppo umano, un territorio tutto da esplorare. La modernità era espressa nella metropoli e nella gente che vi risiedeva, tanto da dar luogo a nuove identità contrassegnate dall’incertezza sebbene esposte sempre a nuovi cambiamenti, a nuove chance di vita.
Park analizza le varie forme di integrazione che si creano tra gli individui della metropoli americana e ne individua quattro forme:
1) Competizione
2) Conflitto
3) Accordo
4) Assimilazione.
La competizione è la forma universale ed elementare di interazione senza contatto. Quando si verifica la competizione, da inconsapevole si trasforma in un vero e proprio conflitto e i concorrenti si riconoscono in veri e propri rivali, nemici.
L’accordo implica la fine del conflitto, ma questo è fragile e può essere infranto facilmente.
Per Park l’assimilazione non significa l’eliminazione delle differenze individuali o il venir meno del conflitto, ma significa solo che c’è un insieme di esperienze e un’armonia di orientamenti simbolici abbastanza grande da consentire la nascita di una comunità con obiettivi e azioni.
Anche gli artisti di strada esprimono bene i processi di competizione, conflitto e cooperazione nel momento in cui un giovane artista entra a far parte del gruppo, perché è presente come in moltissimi altri luoghi una sorta di élite. Ciò fa sembrare questo “mondo” un ambiente chiuso, ma in realtà è un mondo più aperto rispetto agli altri mondi. Se da un lato si viene accettati, dall’altro non si viene riconosciuti come uno di loro.
Da questo contrasto si genera la competizione che si trasforma successivamente in un conflitto vero e proprio. “Conflitto” non significa necessariamente violenza aperta, ma anche tensione, ostilità, dissenso sui fini e valori; è parte costante e necessaria della vita sociale. La teoria moderna considera il conflitto un evento che si trova nella vita di ogni società, in molti gruppi.
Alla base della competizione è presente la meritocrazia, sistema basato sulla premiazione dei meriti. Secondo la logica meritocratica solo un sistema che premia i più capaci riesce ad indurre i soggetti ad impegnarsi, perché è nella natura umana impegnarsi solo in vista di un utile.
Gli artisti di strada con il “conflitto” si riconoscono come “veri rivali” per dare prova di cosa sanno fare ed infatti accettano sin da subito chi è veramente bravo, altrimenti consigliano di studiare, “di fare la gavetta”.
L’abitudine a giudicare, però presente “nell’élite” degli artisti di strada rappresenta una sorta di solidarietà perché per loro il “giudicare” è “stimolo per imparare e migliorare sempre”.
Nels Anderson intorno agli anni venti-trenta con l’opera “The Hobo” è stato il primo a descrivere i cambiamenti che hanno avuto luogo nella vita della città di Chicago e nella popolazione analizzando i problemi della città e le condizioni di vita dei suoi abitanti.
Lo studio di Nels Anderson sui vagabondi, oltre ad essere il primo pubblicato dalla scuola di Chicago costituisce un’eccezione metodologica nel panorama di questa disciplina. L’Autore, essendo stato lui stesso un vagabondo, fa un uso inconsapevole dell’osservazione partecipante (qui si potrebbe parlare anche di “partecipazione osservante”. Questa trasposizione di termini è giustificata dal fatto che N. Anderson ha prima vissuto come loro e poi portato avanti lo studio su di loro).
La figura dell’hobo descritta da Anderson si riferisce ad un tipo di “vagabondo”, quello “in posizione provvisoria che, disposto ad andare ovunque per cogliere l’opportunità di un lavoro, era ugualmente disposto a lasciarlo in seguito” . A partire da questa definizione Anderson differenzia lo hobo da altre figure del tramp, del bum, dell’home guard, dello stagionale, tutti soggetti che fanno parte di un unico universo ma ne incarnano la sostanza in modo diverso.
Anderson precisa che lo hobo è un lavoratore migrante, e ciò che lo distingue dagli altri homeless è “che preferisce lavori fuori città”. Un vagabondo (tramp) è un non-lavoratore migrante, mentre l’home guard è colui che sempre più tende a divenire stanziale, ad omologarsi alla maggioranza della popolazione. Un barbone (bum) è un non lavoratore stanziale, di solito ubriacone.
Lo Hobo viene, dunque, considerato da Nels Anderson un attore sociale complesso, in una categoria di soggetti privi di casa, famiglia, carriera, e coniuga la saltuarietà dei loro legami con i caratteri della mobilità e del loro lavoro. Ciò non vuol dire che lo Hobo non ha esperienza della vita e dei rapporti familiari: la mobilità fa parte del suo progetto di vita, proprio perché ha scelto il movimento come scopo principale dell’esistenza.